Dopo un lungo periodo che ha visto la quotazione del Bitcoin salire settimana dopo settimana, la bolla sembra ora essere scoppiata. Anche le altre criptovalute sono al ribasso. Il motivo è da attribuire alla natura delle stesse valute e alle nuove regolamentazioni Bitcoin in Cina e Corea del Sud.
A metà gennaio 2018, la quotazione del Bitcoin, la moneta virtuale open source decentralizzata e peer-to-peer, è scesa fino a 9.000 dollari circa. Una discesa che segna un solco con il dato registrato a dicembre in cui la valuta digitale raggiunse i 17.000 dollari.
Ad oggi la quotazione oscilla intorno ai 11.000 dollari. Non solo il Bitcoin crolla, ma anche le altre criptovalute come Ether sono al ribasso. L’improvvisto crollo in quotazione non ha alzato un grosso polverone, ma deve comunque aver creato un buco nelle tasche di molti investitori. Cina e Corea del Sud sono i probabili Paesi da cui ha origine l’attuale crollo del Bitcoin.
I governi locali di Cina e Corea del Sud non hanno mai espresso un particolare entusiasmo nei confronti delle criptovalute. A metà gennaio 2018 le autorità cinesi hanno vietato l’acquisto e la vendita di criptovaluta, mettendo a bando tutte le piattaforme e le app che forniscono servizi e pagamenti in moneta virtuale. La Corea del Sud, paese nel quale avviene circa un quinto degli scambi in criptovalute a livello mondiale, ha frenato bruscamente il mercato delle criptovalute, bloccando il trasferimento di asset al di fuori di servizi centralizzati, con il probabile intendo di fermare il trading.
Le criptovalute trovano ora delle restrizioni. Quello che preoccupa maggiormente, è l’anonimato offerto dalla moneta, strumento nelle mani degli oppositori dei governi e dei riciclatori di denaro. Inoltre, anche la tecnica per il “conio” della moneta elettronica, viene affrontato a livello statale come possibile minaccia a causa degli enormi oneri che gravano sulla rete elettrica. Dal momento che per creare nuovi Bitcoin o Ether, i computer devono elaborare calcoli molto complicati, la Cina vuole vietare il mining. Questa e altre restrizioni potrebbe presto essere adottate anche da altri stati. In questo nuovo scenario, viene meno la natura del Bitcoin quale moneta P2P indipendente dall’influenza istituzionale.
Se analizziamo attentamente la situazione del Bitcoin, ci si può rendere conto come non sia mai stato una moneta “indipendente”. Gran parte delle risorse Bitcoin sono nelle mani di pochissimi utenti. Secondo Bloomberg il 40% della valuta è detenuta da meno di 1.000 persone. Poiché le quotazioni reagiscono alle oscillazioni dei prezzi, un’unica grossa vendita in un mercato così stretto da parte di un solo soggetto, è sufficiente per provocare un calo a livello mondiale. Uno studio pubblicato sul Journal of Monetary Economics ha dimostrato come un truffatore è riuscito da solo a manipolare e aumentare il tasso di cambio USB/BTC da 150 a 1.000 dollari in due mesi.
Di certo, il fatto che la negoziazione avvenga solo su poche borse non aiuta. Soprattutto in vista di un possibile fallimento dei mercati come accaduto per insolvenza alla giapponse Mt. Gox o a causa di problemi tecnici. La concentrazione su pochi mercati, rende la criptomoneta anche facile bersaglio di interventi dello Stato. L’esempio di Cina e Corea, con governi che minacciano di chiudere le piattaforme locali, ha spinto in questi giorni le persone a vendere Bitcoin. Ultimo, ma non per importanza resta il problema della fiducia. A differenza di una banca centrale che è in grado di offrire una valuta altamente stabile grazie alle dovute regolamentazioni, le criptovalute sono labili, poiché non regolate. Se a causa della chiusura di un mercato, esce un numero esponenziale di trader, avviene un calo dei prezzi in tutto il mondo.
Lo scenario del Bitcoin e delle altre criptovalute è in evoluzione. È da aspettarsi che il mercato del Bitcoin arrivi a prezzi inferiori a quelli di oggi, stabilizzandosi. Scoppiata la bolla Bitcoin, difficilmente un tale scenario si ripeterà per un’altra criptovaluta.
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