La tua azienda sta crescendo e credi sia arrivato il momento di trovare qualcuno che ti aiuti in alcune mansioni. Assumere il giusto dipendente è un compito molto importante che può portare al successo o al fallimento del tuo business. Nella scelta del giusto talento sono diversi i fattori in gioco. Negli ultimi anni è nata e si è consolidata la figura professionale del recruiter. Il suo compito? Gestire l’intero processo di selezione dall’annuncio di lavoro, alla selezione dei candidati, alla scelta del fortunato che firmerà il contratto di lavoro. Per saperne di più di recruiting, ci siamo rivolti a chi questo lavoro lo fa da diversi anni per grandi aziende internazionali: Simone Mazzoni, oggi recruiter per la gigafactory Tesla a Berlino.
A quali canali fanno affidamento le aziende al giorno d’oggi per trovare i giusti candidati?
Le aziende che decidono di stare al passo coi tempi ed essere competitive sul mercato del lavoro si affidano a diversi canali per la ricerca del personale. Se da una parte la pubblicazione di annunci diventa sempre più residuale, dall’altra abbiamo tutta una serie di strumenti “alternativi”. Ovviamente la fa da padrona l’approccio diretto di candidati potenziali in tutte le sue forme e su varie piattaforme, da LinkedIn o Xing ai canali più specializzati come GitHub o Stack Overflow per i profili IT, ad esempio.
Il referral, ovvero la raccomandazione di un buon candidato da parte di un impiegato dell’azienda in cambio di un bonus una tantum, è anche una pratica su cui le aziende stanno investendo molte energie. Ecco perché oggi si sente sempre più spesso dire che ogni dipendente sia potenzialmente un recruiter. La mia assunzione presso il gruppo Tesla è avvenuta in questo modo.
Poi abbiamo i canali riconducibili alla sfera dell’Employer Branding, come ad esempio la partecipazione a Career Day, hackathon o altri tipi di competizioni per aspiranti candidati, giornate porte aperte in cui si possono effettuare visite guidate del gruppo, altri eventi che possono migliorare in generale l’immagine aziendale e quindi amplificare l’interesse del pubblico verso l’azienda. Ad ogni modo la creatività regna in questa fase del processo di selezione, e nuove modalità in cui le aziende cercano di attrarre i candidati migliori vengono sperimentate ogni giorno e sono potenzialmente infinite.
Cosa dovrebbe possedere una candidatura per aumentare le possibilità di essere considerata?
Se consideriamo solo la classica risposta a un annuncio di lavoro direi che la candidatura dovrebbe essere mirata, chiara, concisa. La prima cosa da non fare quando si cerca un lavoro è candidarsi a tutte le posizioni aperte presso un’azienda. Il candidato spesso non sa che il recruiter è sempre lo stesso. Le probabilità che la candidatura sia scartata sono estremamente elevate per mancanza di motivazione in un ruolo specifico.
Per il CV, consiglio di mettere una foto solo se è estremamente professionale, altrimenti meglio non metterla, si rischia di condizionare il recruiter in maniera negativa. È meglio mettere un titolo inerente alla posizione a cui ci si candida, ciò aumenta le probabilità che il recruiter si soffermi sul profilo. Ed ecco anche perché il mio consiglio è di fare un CV il più denso e conciso possibile, se sta in una pagina ancora meglio. Il recruiter in un CV cerca di capire se la candidatura in questione sia compatibile potenzialmente con la posizione. Se si passa questo primo step poi si avrà modo di approfondire i dettagli durante i colloqui.
Ci sono degli aspetti che le aziende internazionali considerano o non rispetto a quelle italiane?
Le aziende italiane, ma del sud Europa in generale, tendono a dare un peso di gran lunga predominante alle hard skill dei candidati rispetto alle soft skill. Ho constatato più di frequente in paesi come Germania o in Gran Bretagna che un candidato che non corrisponda al 100% sul piano delle competenze tecniche venga assunto lo stesso perché si valuta eccellente il suo potenziale umano e di apprendimento. In Italia siamo un po’ indietro come mentalità da questo punto di vista.
La stessa cosa potrei dirla per tutto quel che riguarda la sfera del Diversity, Inclusion and Belonging. In molti paesi del Nord Europa il fatto di assumere candidati di diversa età, sesso, orientamento sessuale, handicap, nazionalità, etnia, e religione viene sempre di più incentivata e vista come una risorsa. In Italia, anche se le cose stanno iniziando a muoversi lentamente, molte aziende tendono ad assumere in prevalenza maschi bianchi eterosessuali tra i 25 e i 45 anni (permettetemi l’espressione!). L’Italia deve farne di strada per mettersi al passo con i paesi più performanti in Europa!
Quali sono gli effetti della digitalizzazione che stanno cambiando il dipartimento HR delle aziende?
La selezione del personale non è ovviamente esclusa dai cambiamenti apportati dalla digitalizzazione. Prima di tutto sta cambiando il tipo di profilo ricercato dalle aziende. Si va sempre di più verso personale qualificato, spesso con competenze IT o digitali anche in figure impiegate in produzione o logistica, ruoli che fino a qualche hanno fa non necessitavano di tali skill. Programmatori e sviluppatori informatici sono le rock star di questa epoca.
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Cambia inoltre il modo in cui si fa ricerca di personale. Ci affidiamo sempre più a social media e piattaforme per la ricerca del lavoro come Glassdoor, Zalvus, JobR, ecc. Se fino a qualche anno si stava in attesa dell’arrivo delle candidature, oggi il recruiter deve rendersi attivo: utilizza gli strumenti digitali messi a sua disposizione per incrementare il proprio network e la pipeline di candidati.
I responsabili del personale sono di fronte a una sfida epocale, che se non colta potrebbe portare alla scomparsa del nostro ruolo, in quanto stanno emergendo moderne tecnologie di analisi delle candidature che riescono a effettuare il primo screening dei curriculum, con un sistema di matching molto accurato. Sta a noi recruiter reinventare il nostro lavoro, essere creativi e renderci indispensabili laddove la macchina non può arrivare.
Ci sono delle competenze trasversali su cui le aziende dovrebbero puntare nella ricerca del giusto candidato?
Le aziende si stanno rapidamente rendendo conto che per affrontare le sfide di questa epoca, hanno bisogno di personale qualificato, ma soprattutto di uomini e donne col giusto mindset che possano contribuire attivamente al successo aziendale.
Molti gruppi hanno compreso che per certi ruoli, chiunque potrebbe apprendere la parte operativa ed essere autonomo in pochi mesi. Tali aziende hanno pertanto deciso di investire di più sulle competenze trasversali dei candidati, che non possono essere apprese, ma che sono innate. Se si assume un candidato con la giusta personalità per l’azienda e per il team, le competenze tecniche verranno trasmesse sul posto di lavoro.
La direzione è segnata anche se ancora molta strada deve essere fatta. La tendenza attuale è ritenere che ciò che contribuisce in primis al successo di un’azienda sono le persone, meglio se diverse tra loro, in modo da arricchire il lavoro con punti di vista e contributi sempre originali, con le loro competenze trasversali e la loro personalità. Tutto il resto si può apprendere.
Quali sono gli aspetti a cui le aziende dovrebbero prestare attenzione quando si rapportano con i candidati?
Ci sono ancora molte resistenze su diversi livelli ed errori che andrebbero evitati.
La prima cosa a cui penso è il modo di comunicare di un’azienda. Che messaggio si trasmette attraverso il sito Internet, che tipo di candidato si vuole attrarre, come vengono redatti gli annunci di lavoro? Si lascia intravedere dagli annunci la preferenza per un certo sesso o per una certa fascia di età ad esempio? Quali benefit si decide di proporre e comunicare pubblicamente, se e come si partecipa a certi eventi che richiamano l’attenzione di possibili candidati, e così via.
Un altro aspetto fondamentale è la gestione del processo e dei colloqui. Il recruiter dovrebbe dare feedback qualitativi e in tempi ragionevoli il più accuratamente possibile. In questo modo si mantengono i candidati motivati o perlomeno sarebbe giusto spiegare ragionevolmente perché un candidato non sia stato selezionato.
È anche compito del recruiter e degli intervistatori attenersi alle buone pratiche di Diversity & Inclusion. Il candidato ideale non è quello che loro vedrebbero se si guardassero allo specchio, ma la persona che, nella rosa di candidati, racchiude al meglio le competenze tecniche e personali e che potrebbe contribuire egregiamente al successo del team e del gruppo. I recruiter giocano qui un ruolo molto delicato, in quanto si posizionano al centro del campo di battaglia. Quando si rapportano con i candidati hanno come scopo principale anche quello di mantenere l’immagine dell’azienda al livello più alto possibile.
I canali social oggi giocano un ruolo nella selezione del personale?
Come ho già accennato, i social media giocano senza ombra di dubbio un ruolo da protagonista nella selezione. Tutte le aziende, anche quelle più piccole, hanno il proprio profilo su LinkedIn, Xing, Facebook, Twitter, Instagram o addirittura TikTok. Tutto ciò viene fatto per comunicare l’immagine dell’azienda e del brand e dare l’impressione desiderata al pubblico.
Le aziende partecipano attivamente sui social media di nicchia, intrattengono discussioni, propongono webinar, sono attive nei gruppi su LinkedIn o Facebook dedicati a specifiche categorie professionali. Insomma, hanno capito che non possono attendere che il candidato ideale bussi alla loro porta, in quanto i loro concorrenti, e non solo loro, si stanno adoperando a costruire la migliore immagine possibile anche sui social. Oltre che pubblicare offerte di lavoro sui social quindi, le aziende puntano a implementare l’employer branding, che sempre più gioca un ruolo decisivo nell’assunzione dei talenti migliori e, in ultima istanza, contribuisce al successo sul lungo periodo.