L’era in cui viviamo è senz’altro quella della sharing economy o economia della condivisione, in molti ambiti della vita personale e del business. Si sta diffondendo tra professionisti e aziende velocemente anche nel nostro Paese la tendenza, nata a metà degli anni duemila negli USA, a condividere il lavoro e spazi lavorativi.
Spesso non si tratta prettamente di una scelta economica per molte attività commerciali, ma di una vera e propria visione globale, che consiste nel concepire lo spazio lavorativo come modo per entrare in contatto con realtà e luoghi dove far convergere competenze e talenti.
Come recita Wikipedia “il coworking”, la definizione più diffusa del fenomeno, “è uno stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un’attività indipendente. A differenza del tipico ambiente d’ufficio, coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione. […] L’attività del coworking è il raduno sociale di un gruppo di persone che stanno ancora lavorando in modo indipendente, ma che condividono dei valori e sono interessati alla sinergia che può avvenire lavorando a contatto con persone di talento.”
L’era di condivisione nella quale stiamo vivendo sembra avere effetti a tutti i livelli della filiera. A partire dal modo in cui le persone consumano (pensiamo al diffondersi di abitudini quali le vacanze, il bike o car sharing, il car pooling, la condivisione di un appartamento, ecc.) e comunicano tra loro (pensiamo ai social media che spesso rimpiazzano la classica telefonata) per coinvolgere anche l’ambito delle strategie di comunicazione delle aziende stesse e le modalità in cui decidono di strutturare il proprio ambiente lavorativo.
L’innovativa concezione del lavoro condiviso, non solo in termini di scrivania, ma anche di conoscenze, esperienze, punti di vista e opportunità di sinergie tra professionisti di settori più disparati, si è diffusa con una velocità impressionante. Secondo quanto riportato sul sito clicklavoro.gov.it, sono ben 98 gli spazi condivisi censiti nel nostro Paese, distribuiti in 56 città.
Inoltre, secondo un’interessante infografica pubblicata sul sito MyCowo, le città chiave sono attualmente Milano, Torino, Roma, seguite da Firenze e Bologna e, dal punto di vista del fruitore, il 53% è fatto di freelance, il 39% raggruppa imprenditori, dipendenti di medie e grandi società (talvolta estere e non provviste di una sede italiana) e startupper. Un 8% comprende invece le cosiddette “altre figure”.
Particolare curioso: solo il 38% degli utenti del coworking è donna, mentre la maggior parte dei lavoratori a scegliere questa innovativa modalità di lavoro è, appunto, di genere maschile.
Concludendo, siamo di fronte a un fenomeno sempre più diffuso e strutturato, che potrebbe diventare un modello importante per il futuro e allargarsi a molte realtà di business dei settori più disparati e anche in città minori. A giudicare dal successo che la formula sta riscontrando, all’estero come in Italia, sempre più aziende, a partire dalle startup ma non solo, saliranno presto su questo treno.